IL FENOMENO DEL “CHOKING”

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IL FENOMENO DEL “CHOKING”

Approfondiamo in questo articolo un interessante tema legato al controllo motorio trattato da Frans Bosch, docente universitario olandese, uno dei massimi esperti mondiali sul tema dell’apprendimento motorio, nel capitolo “Fine-Tuning Motor Control” all’interno del libro “High-Performance training for Sports” di David Joice e Daniel Lewindon.

Frans Bosch si può definire come uno dei massimi esponenti della teoria dei sistemi dinamici applicata allo studio del controllo motorio. Fino alla metà degli anni 80’ le teorie che andavano per la maggiore riguardo alle strategie dell’organismo umano utilizzate per controllare i propri movimenti prevedevano modelli “gerarchici” nei quali il cervello era visto come il centro di comando del controllo motorio. In queste teorie (delle quali la teoria dello Schema di Schmidt fu probabilmente la più completa e dettagliata) i programmi motori una volta costituiti nelle aree superiori venivano “spediti” in periferia (ai muscoli) per l’esecuzione pratica. Il corpo veniva visto quindi come mero esecutore dei desideri del cervello.

Se all’interno di sport ad abilità chiuse, come per esempio le varie discipline dell’atletica leggera, questo tipo di modello poteva risultare soddisfacente, i conti non tornavano quando invece si trattava di controllare movimenti complessi all’interno di ambienti variabili. Pensiamo agli sport di squadra per esempio, dove in pochissimi istanti gli atleti devono prendere decisioni e trovare sempre nuove soluzioni di movimento. Può il cervello, da solo, elaborare cosi tante informazioni in cosi poco tempo?

La teoria dei sistemi dinamici, sviluppata alla fine del XX secolo tenta di spiegare queste interazioni più complesse. Con questo nuovo modello viene abbandonata l’idea gerarchica di organizzazione del movimento, ma ad ogni livello del sistema (livello cerebrale, livello spinale, livello periferico) ci sono strutture atte al controllo del movimento, a seconda delle richieste dell’ambiente e della tipologia di espressione motoria richiesta. L’organizzazione del sistema prevede quindi sia un modello top-down (dal cervello ai muscoli) che un modello bottom-up (dal corpo alle aree superiori).

DUE SISTEMI DI CONTROLLO

Sono sostanzialmente due i sistemi che il nostro organismo può utilizzare per controllare i propri movimenti e la scelta di uno o dell’altro dipende dalle richieste dell’ambiente circostante.

Abbiamo a disposizione quella che Bosch definisce Working Memory (memoria di lavoro) che utilizza un controllo conscio del movimento, ed è adatta per processi lenti e soluzioni di movimento nuove ed estremamente specifiche. In alternativa possiamo utilizzare l’Hard Drive (disco rigido), basato sul controllo inconsapevole, per i movimenti sottoposti a grande pressione temporale e per quelli già appresi, automatizzati, nella memoria a lungo termine. Evidenze scientifiche sempre crescenti sostengono che questi due sistemi operino separatamente. Una delle prove più concrete a sostegno della loro autonomia è il collegamento con diversi sistemi di visione: il controllo consapevole è collegato con la visione centrale (per l’osservazione delle forme), mentre il controllo inconsapevole è collegato con la visione periferica (per l’osservazione del movimento).

Immagine tratta da: ““High-Performance training for Sports” David Joice e Daniel Lewindon.
Immagine tratta da: ““High-Performance training for Sports” David Joice e Daniel Lewindon.

L’esecuzione della performance sportiva richiede entrambi i sistemi di controllo a seconda della situazione che si verifica. Se c’è sufficiente tempo a disposizione (pensiamo al giocatore di golf che prepara il colpo dello swing) può entrare in azione il controllo consapevole, mentre se questo tempo non c’è (pensiamo al tennista che una volta a rete deve ribattere la pallina nel campo avversario) è il nostro Hard Drive ad entrare in azione.
Negli sport di situazione, come calcio, basket, rugby ecc, dove l’ambiente circostante è assolutamente imprevedibile e dove la congestione di diversi giocatori all’interno di spazi ridotti rende estremamente alte le richieste di velocità di movimento, è spesso questo sistema di controllo ad entrare in azione.
Diventa necessario far si che gli apprendimenti degli atleti vengano immagazzinati all’interno del Hard Drive poiché in questo modo possono essere “pescati” al momento giusto durante la performance.
Il problema può nascere nel momento in cui gli apprendimenti dei nostri atleti sono invece immagazzinati nella Working Memory, poiché sviluppati in allenamenti in cui è consentita la possibilità di attivare un controllo consapevole che poi però nella realtà di un ambiente di performance imprevedibile ed estremamente caotico non può essere chiamato in gioco.

TO CHOKE

Lo definisce cosi Frans Bosch: “to choke”, ovvero “soffocare”. Ma cosa significa “soffocare” durante la performance?
Gli apprendimenti sviluppati attraverso un controllo consapevole, quindi in situazioni controllate, senza pressione di tempo, non possono essere archiviati nell’Hard Drive, poiché la loro struttura non si adatta a quella matrice.
I metodi di allenamento che prevedono l’utilizzo della memoria di lavoro mostrano immediati miglioramenti durante la pratica. L’esecuzione migliora durante l’allenamento. Tuttavia, il reale processo di apprendimento è invisibile, ha dinamiche differenti e l’efficacia di questi apprendimenti in definitiva risulta essere piuttosto bassa.

“Per quanto scioccante possa sembrare alla maggior parte degli allenatori, migliori sono stati i risultati della pratica a fine allenamento, minore sarà stato il grado di apprendimento dell’atleta. I risultati della pratica e i risultati dell’apprendimento sono antagonisti” Frans Bosch

Di conseguenza tutte le indicazioni degli allenatori che attivano un controllo consapevole dovrebbero essere evitate. Utilizzare feedback di tipo interno, come spiegato nell’articolo di Wulf, attiva la working memory all’interno della quale verrano cosi archiviati gli apprendimenti.

Ed ecco che si verifica il fenomeno del CHOKING. Quando, soprattutto nelle prime fasi dell’apprendimento, un atleta viene sottoposto a troppi feedback interni, non solo apprende come eseguire il movimento ma anche come costruirlo (o ri-costruirlo) nella memoria di lavoro. Nelle situazioni di stress, come per esempio durante la performance all’interno degli sport di situazione, dove si verifica un’alta pressione sia in termini di tempi che di spazi, l’atleta ha la necessità di attivare il proprio “disco rigido” utilizzando movimenti automatizzati. Se invece non ha la possibilità di farlo poiché i suoi apprendimenti sono costruiti attraverso la memoria di lavoro l’atleta va incontro al fenomeno di choking, ovvero di soffocamento della propria abilità, che risulterà meno efficiente.

ALLENARE L’HARD DRIVE

Gli atleti che durante gli allenamenti attiveranno il meno possibile la memoria di lavoro non potranno farlo nemmeno durante la competizione, garantendo cosi una più fluida auto-organizzazione del proprio sistema al fine di trovare la più efficiente soluzione di movimento.
L’obiettivo dell’allenamento, soprattutto nelle prime fasi dell’apprendimento, deve essere quello di utilizzare il meno possibile la working memory al fine di poter archiviare i propri apprendimenti direttamente nel proprio disco rigido.

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